Bloccare tutto

[Volantino apparso durante i cortei studenteschi spontanei di mercoledì scorso (29 ottobre '08) a Milano]

Scoppia la guerra, e lo spettacolo continua.
Crollano le borse, e lo spettacolo continua.
Precipitano ecosistemi, e lo spettacolo continua.
A stabilire il cottimo dell’esistente è il mercato.
E l’educazione ne è, oggi una volta di più, asservita.
Inceppiamo il meccanismo a partire dalle università. Blocchiamo tutto. Ripartiamo da zero

9 PASSAGGI SUL PERCHE’ BLOCCARE TUTTO ( e dintorni)

  1. In una città mercantile basata sul flusso continuo di merci bloccare i canali di flusso significa interrompere la normalità.
    Voi direte: “non bisogna creare disagio”.
    Noi vi risponderemo che ci sentiamo molto più a disagio nel continuare a far finta che tutto questo sia normale. Anche quando a decidere del nostro futuro sono le banche, le multinazionali, le lobby. Anche quando l’insicurezza del vivere si è cristallizzata in paura. Anche quando gli ultimi steccati nel campo della desolazione sociale e ambientale stanno per essere abbattuti.
  2. Un corteo spontaneo al giorno di mille persone crea molto più disturbo di un grande evento programmato di 100.000 persone una volta ogni tanto. In questa diversità qualitativa passa parte della differenza tra l’efficacia e la testimonianza.
  3. La moltiplicazione delle forme di lotta e dei momenti di conflitto dal basso ci rende meno controllabili, meno incanalabili in binari prestabiliti, meno etichettabili come sostenitori di un partito o di un sindacato. Ci rende più agili e meno prevedibili. Dimostra un’autonomia e una ricchezza di pensiero e di azione.
  4. Viviamo in una società frenetica in cui a scandire il ritmo della vita sono logiche aziendali. Produttività profitto rapidità, a scuola al lavoro al supermercato.
    Noi viventi esistiamo come detriti abbandonati alla corrente dei flussi mercantili, come corpi isolati nella comunicazione virtuale, incapaci di cogliere fino in fondo il senso del nostro movimento. Così, ingoiati dai flutti consolatori dello spettacolo, affannati a nuotare dietro a falsi bisogni e a miraggi di ascensione sociale, siamo oramai incapaci di afferrare la possibilità di un cambiamento reale. Per tornare a farlo è urgente e necessario fermarci. Occorre farla finita col naufragio di sé.
  5. Bloccare tutto (dalla didattica alle strade) per rallentare la corsa al profitto e riprendere fiato. Per riconsiderare il tutto da un’altra prospettiva; quella che può scaturire dalla sorpresa, dallo stupore per il piacere provato nel condividere con altri una libertà inaspettata. Creare momenti di autogestione e di conflitto diffuso per recuperare le forze e le idee prima di invertire la rotta.
  6. Il blocco imprevisto e gioioso è uno strumento di provocazione. E’ un mezzo per sabotare gli ingranaggi di un meccanismo sociale che ci vuole indifferenti al mondo che ci circonda ed insensibili al nostro intimo passionale.
  7. Uscire in strada significa anche riappropriarsi degli spazi urbani sottratti all’incontro. Per non chiudersi in ghetti e in ideologie “studentiste” ma attraversare la città ed incontrare altre istanze.
  8. Al blocco della circolazione delle persone e dei saperi decretato dall’economia, opponiamo il blocco dell’economia attraverso la libera e selvaggia circolazione dei corpi e dei saperi. Come dire: se la loro economia è orientata al saccheggio e alla distruzione del sapere, il nostro sapere sarà orientato alla distruzione e al saccheggio dell’economia.
  9. Il blocco è solo uno dei mezzi. Non esiste una linea vincente ma tante traiettorie possibili da esplorare. Lasciamo i canali di scolo a chi rifluirà presto in forme di lotta compatibili. Lasciamo le fogne a chi tenterà di cavalcare l’onda della protesta con l’unico intento di portare acqua al proprio bacino politico.
    Noi preferiamo il mare aperto.
L’unico imperativo oggi è quello di riprendere in mano il timone della nostra deriva.

Milano, 29 ottobre 2008