GUERRA SOCIALE (2002-2010)

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Novità - Edizioni Anarchismo

E' uscito Che cos'è la proprietà? di Proudhon.

Sul sito delle Edizioni Anarchismo tutti i dettagli.


Novità Edizioni Anarchismo

Sono disponibili i nuovi titoli delle Edizioni Anarchismo 


PENSIERO E AZIONE
[euro 15,00 cad.]
  • Alfredo M. Bonanno, Dominio e rivolta [euro 15,00] >>>
  • Alfredo M. Bonanno, I fondamenti di una teoria filosofica dell’indeterminazione [euro 15,00] >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Manuale scientifico a uso degli increduli [euro 15,00] >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Miseria della cultura. Cultura della miseria [euro 15,00] >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Senza una ragione - Dire la verità [euro 15,00] >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Contro la chiarezza. Contro l’oggettività [euro 15,00] >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Critica della ragione politica [euro 15,00] >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Dissonanze [euro 15,00]  >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Autodifesa al processo di Roma per banda armata, ecc. - Liber Asinorum [euro 15,00] >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Zarathustra [euro 15,00]  >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Chi ha paura della rivoluzione? [euro 15,00] >>>

OPUSCOLI PROVVISORI 
[euro 4,00 cad.]
  • Alfredo M. Bonanno, La ragione genera mo­stri [euro 4,00] >>>
  • Pierleone Porcu, Contro la tecnologia nucleare [euro 4,00] >>>
  • Michail Bakunin, Lettera a Nečaev [euro 4,00] >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Oltrepassamento e superamento [euro 4,00] >>>
  • Richard Wagner, L’arte e la rivoluzione [euro 4,00] >>>
  • Anarchismo e progetto insurrezionale. Atti del Convegno, Milano 13 ottobre 1985 [euro 4,00] >>>
  • Sergio Ghirardi, Viaggio nell’arcipelago occidentale [euro 4,00] >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Autogestione e distruzione [euro 4,00] >>>
  • Michail Bakunin, Scritto contro Marx [euro 4,00] >>>
  • Raoul Vaneigem, Banalità di base [euro 4,00] >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Contro la coerenza >>>
  • Leccaculi e delinquenti >>>
  • Michail Bakunin, La scienza e la questione vitale della rivoluzione >>>
  • Victor Rudin, Max Stirner. Un refrattario >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Distruggiamo le carceri 
  • Pierre-Joseph Proudhon, Dimostrazione della inesistenza di Dio >>>
  • L’anarchismo nella rivoluzione russa >>>
  • Michail Bakunin, Dove andare, cosa fare? >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Di quale natura parliamo? >>>
  • Manifesto dei Sedici. Critiche di Malatesta, Galleani, ecc. >>>
  • Michail Bakunin, La Comune e lo Stato >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Dio e lo Stato nel pensiero di Proudhon >>> 
  • Johann Most, La peste religiosa >>>
  • Ernest Cœurderoy, La corrida >>>
  • Alfredo M. Bonanno, L’Inquisizione spagnola e gli Ebrei >>>
  • Charles Fourier, Critica del catechismo laico >>>
  • Michail Bakunin, Il principio dello Stato >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Un messaggio nella bottiglia >>>
  • Michéle Duval, I seguaci dell’amianto >>>
  • Raoul Vaneigem, Terrorismo o rivoluzione >>>
  • Ernest Cœurderoy, Vita e morte di un bracconiere >>>
  • Alfredo M. Bonanno, Gli Ebrei e il male assoluto >>>

libri in preparazione

BIBLIOTECA DI ANARCHISMO

  • P. Kropotkin, Memorie di un rivoluzionario (pp. 304) - euro 10,00
  • Pierre-Joseph Proudhon, Sistema delle contraddizioni economiche. Filosofia della miseria (pp. 624) - euro 15,00
  • Charles Fourier, Teoria dei quattro movimenti e dei destini generali (pp. 272) - euro 10,00
  • Pierre-Joseph Proudhon, Che cos’è la proprietà? Ricerche sul principio del diritto e del governo (pp. 224) - euro 10,00
  • Charles Fourier, Il nuovo mondo amoroso (pp. 336) - euro 10,00

Ancora, non ancora

Edizioni Anarchismo 1975-2015
Pensavamo di avere concluso la nostra avventura editoriale e non è vero, ancora non si è conclusa, an­cora vogliamo andare avanti, per quanto strano possa sembrare, per quanto numerosi siano quelli disposti a scommettere sul nostro essere ormai al capolinea. Eccoci quindi a presentare un altro sterminato gruppo di libri e libretti, malfidate testimonianze di una confidente testardaggine sulla validità insostituibile della parola scritta.
Ecco (qui) i nuovi titoli, pronti per la stampa.

TABULA RASA

Tabula Rasa vuol essere un arsenale di testi anti-autoritari e anarchici in cui ciascuno possa trovare riflessioni e idee per affinare il proprio pensiero e approfondire le proprie battaglie. Il nostro auspicio è che questo arsenale contribuisca a scoprire affinità oltre le frontiere, ad aprire esaltanti ignoti nel pensiero e nella pratica – che formano un tutt'uno –, a gettarsi a capofitto nel turbinio della guerra sociale.
Tuttavia questo arsenale non è un supermercato di idee talmente alla moda la cui assenza di coerenza è flagrante. La critica anarchica non è innocente. Se vediamo come anche nel campo anti-autoritario le idee vengano trasformate in ideologie ed i pensieri in politica, come si combinino a più non posso le cose più incompatibili pur di non scontrarsi con l'illusione quantitativa, il nostro desiderio è rimettere in primo piano una critica anarchica intimamente distruttrice. Essa intende distruggere l'autorità, la sua morale e i rapporti sociali che ne derivano, non cerca di gestirli né di trasformarli a poco a poco. Senza esitazioni né timore delle rovine, fare tabula rasa dell'esistente. Oggi come ieri, pensiamo che si tratta di portare ovunque questa tensione distruttrice, sia nelle acque tumultuose dei conflitti sociali che nelle steppe glaciali della pacificazione sociale.
Speriamo inoltre che questo strumento possa contribuire a fare tabula rasa di quel – passateci il termine – «complesso di inferiorità» di cui troppo spesso soffrono i partigiani dell'anarchia quando si ritrovano di fronte alle critiche marxiste e politiche e agli appelli ad adeguarsi alla realtà delle cose. Se è vero che la distruzione dell'autorità è cosa eminentemente pratica, non per questo dobbiamo seppellire le nostre idee. Tutto il contrario, giacché come qualcuno ha saputo riassumere, l'anarchismo è «pensiero e dinamite». È ora di liberarsi definitivamente dei cadaveri che continuano a sostenere che a fare la storia siano misteriosi meccanismi sociali e non gli individui in carne e ossa, che a generare il desiderio di liberazione e dunque di rivolta siano le condizioni di sfruttamento piuttosto che il cuore e il cervello, che la libertà è certo un bel sogno ma che sarebbe meglio accantonarlo provvisoriamente in nome delle esigenze tattiche e organizzative del momento. Contro tutto ciò, pensiamo che alcuni passi da fare siano la creazione di spazi autonomi di discussione, l'approfondimento delle affinità, la condivisione e la critica delle esperienze di lotta e di rivolta.
Tabula Rasa metterà quindi a disposizione dei compagni numerosi testi e traduzioni in diverse lingue. Si tratta sia di testi del passato che di testi più recenti. Sebbene ogni «classificazione» porti sempre problemi difficilmente superabili, cercheremo di archiviare i testi non solo per autore o per pubblicazione, ma anche per «tema» al fine di facilitare la ricerca. Non resta allora che sottolineare l'intento internazionalista di questo progetto: offrire uno spazio di discussione al di là dei contesti particolari, dei limiti linguistici e delle frontiere statali.

www.atabularasa.org

FINIMONDO

Finimondo è una scommessa, perché nasce sotto il segno del controsenso. È un sito, uno strumento telematico, ma verrà riempito da individui ostili alla tecnologia. Conterrà testi anarchici e sovversivi, ma si terrà lontano da ogni forma di militanza. Verrà aggiornato di continuo, ma con l'intento di sfuggire alla rincorsa dell'attualità. Il luogo dell'evanescenza consumata in un clic, adibito però ad una creazione determinata.
Chi è alla ricerca di terre incognite, illuminate nei particolari o anche solo fatte balenare, non dovrà far altro che frugare nelle sue diverse rubriche. Vi scoprirà pensieri, sensazioni, fatti e personaggi, sconosciuti o dimenticati, provenienti dal passato o dal presente. Qualcosa su cui riflettere, qualcosa da usare. Una specie di spazio virtuale dove sarà possibile ritrovare chi e cosa si era perso di vista o fare nuove conoscenze.
Chi dovesse aver solo bisogno di una buona agenda su cui leggere gli appuntamenti di movimento, ne stia pure alla larga. Finimondo non ospiterà nessuna bacheca di annunci relativi a presidi, o assemblee, o cene, o concerti, o quant'altro. Non verranno pubblicati nemmeno i vari comunicati, più o meno altisonanti, che contraddistinguono la vita di movimento (il resoconto di una manifestazione, la conclamata solidarietà verso degli arrestati...). Ci sono già altri siti che li riportano, per chi ne fosse interessato, e non avvertiamo l'esigenza di imitarli. Per questo motivo daremo spazio ad iniziative "di lotta" solo quando il loro annuncio sarà accompagnato da qualcosa di più dello slogan di circostanza. Ciò che (ci) manca non sono tanto le informazioni sui fatti del mondo, quanto le idee che potrebbero sconvolgerlo. Pubblicheremo ciò che ci piace, o che troviamo stimolante pur senza condividerlo appieno, e anche le notizie saranno selezionate dal nostro buono o cattivo gusto.
Provare a contribuire al sito è facile, basta inviare il materiale al nostro indirizzo, riuscirvi non è però automatico come premere un pulsante.
Finimondo non ha l'ipocrisia di voler rappresentare tutti e nemmeno è opera di qualche gruppo o "area". Prima di ogni cosa siamo individui: nessuno di noi vuole rinunciare alla propria particolarità. Tra chi vi collabora non v'è nemmeno un'affinità scontata e assodata, semmai la condivisione di alcune certezze minime: che libertà e autorità siano incompatibili, ad esempio, o che la politica — professionale o dilettantistica — meriti solo disprezzo. Con tutto ciò che questo comporta.

Queste sono le rubriche di riferimento:

Intempestivi
Quando una miserabile attualità urla la sua urgenza, il solo modo per rimanere fuori dal coro è quello di prenderla controtempo. Cercare in essa il lato sconveniente e inopportuno, anziché specularci sopra come avvoltoi. Per sottrarsi ad ogni convenienza e ad ogni opportunismo, per schiudere orizzonti imprevisti e infiniti. I momenti più cruciali della realtà quotidiana, visti però con gli occhi incantati dell'irrealismo.

Brulotti
Semplici galleggianti carichi di materiale esplosivo lanciati alla deriva nel tentativo di incendiare le navi nemiche, in senso figurato i brulotti sono piccole idee suscettibili di provocare danni nei luoghi comuni che rendono triste ed opaca la nostra esistenza. Ogni pretesto è buono per simili tentativi: la riflessione su un fatto del giorno, l'intervento in una lotta, l'annuncio di una iniziativa, la riproposizione di testi dimenticati...

Contropelo
A costo di provocare irritazioni e disagio, è fondamentale andare in senso contrario. Cessare di accarezzare ciò che ci circonda non solo nei suoi aspetti minimi, ma soprattutto nella sua dimensione generale e globale. Il pensiero ribelle, se isolato in situazioni particolari, rischia di scadere in mero commentario. Intelligente, ma a breve gittata. Per arricchirsi, in qualità come in quantità, occorre abbracciare tutti gli ambiti dell'esistenza umana. Una sfida faticosa, ma indispensabile.

Autopsia
Poiché dietro ad ogni idea c'è un essere umano in carne ed ossa, talvolta le nostre attenzioni non possono fare a meno di rivolgersi ad personam. Troppo facile offuscare le peculiarità individuali negli anfratti del consesso sociale. Se non si vogliono coltivare pregiudizi, spregiativi o apologetici, né ci si vuole adagiare in una comoda indifferenza, non resta che accogliere con il bisturi in mano le parole di ogni potenziale Maestro.

Brecce
Contrariamente a quanto vorrebbero farci credere, la Storia non è affatto un blocco monolitico costituito in alto da chi esercita il potere (e dai suoi concorrenti) e in basso da chi marcisce nell'obbedienza. Nonostante una propaganda interessata sostenga che il muro della nostra prigione possiede una compattezza eterna e ineluttabile, qua e là s'intravedono le brecce aperte da chi nel passato si è scagliato contro l'autorità. E attraverso quelle fessure filtrano ancora spiragli di luce.

Macchianera
Capita – sovente, talvolta, di rado – che fiumi di inchiostro o nastri di celluloide scorrano sotto i nostri occhi. Una reazione possibile è quella di abbandonarsi a quelle parole ed immagini, lasciarsi trasportare dalla loro corrente magnetica ovunque essa porti. Un'altra ipotesi è di entrarvi dentro ma senza lasciarsi risucchiare dal vortice. Perché il pensiero ha bisogno di ispirazioni, non di intimidazioni.

Miraggi
Il deserto emozionale che stiamo attraversando gioca brutti scherzi. Provoca miraggi, allucinazioni in cui ciò che è pura immaginazione viene percepita come realtà. Ma questo stato morboso non è, al tempo stesso, una forma esasperata di lucidità? Non è proprio il miraggio a spingerci a resistere, ad andare avanti fino ad uscire dal deserto? La narrativa, la poesia, possono istigare ad avvistamenti di terre rigogliose, altrettanti inviti ad evadere dai campi della sopravvivenza.

Fuoriporta
Cadute (formalmente) le frontiere ed unificato l'intero pianeta sotto il tallone di un unico modo di vivere, ha ancora senso parlare di un qua vicino e di un là lontano? Le distanze si sono accorciate a tal punto che nemmeno un continente riesce più a separare ciò che ormai è irrimediabilmente legato, sia in termini di combutta di interessi sia in termini di cospirazione di desideri. Ecco perché gli avvenimenti più distanti ci toccano come se si svolgessero appena fuori dall'uscio di casa.

Papiri
Nell'era telematica, la carta stampata assomiglia ad un'anticaglia. Per chi preferisce la vivacità delle strade alla contemplazione nei musei, qui si possono trovare volantini, manifesti, adesivi, giornali e tomi, già impaginati, pronti per essere saccheggiati, scaricati, riprodotti e diffusi.

Echi
Notizie dal mondo, piccoli frammenti che ci raggiungono. Come dati destinati ad archivi stantii. Oppure come riverberi che potrebbero prolungarsi, ampliandone la portata.

Istigazione a delinquere!

La contestazione di questo reato è il perno su cui è ruotato il teorema accusatorio della Corte d’Assise d’Appello di Lecce, servito a condannare per associazione sovversiva 12 anarchici, con pene comprese tra un anno e cinque anni e cinque mesi. Siamo stati accusati di aver istigato gli immigrati internati nell’ex CPT “Regina Pacis” di San Foca affinché dessero vita a rivolte, evasioni, distruzioni del centro. È convincimento utile allo Stato e ai suoi servitori quello di credere che le rivolte nei CPT (ora chiamati CIE) siano frutto di un lavoro di istigazione svolto da pochi sovversivi, e non già pratica endemica alla stessa condizione di reclusione: quando un essere vivente è rinchiuso, spesso si ribella. La storia dei CIE, dalla loro nascita nel 1998 ad oggi, è la dimostrazione più chiara di questa affermazione.

Il “Regina Pacis” è stato un campo di internamento per stranieri poveri come tutti gli altri campi. Al suo interno veniva praticata ogni sorta di nefandezza: somministrazione massiva di psicofarmaci nei pasti per sedare gli internati, pugno di ferro nei loro confronti, pestaggi contro chi si ribellava o provava ad evadere. Non erano anomalie, né pratiche svolte da poche “mele marce”, bensì prassi normale svolte da tutti: dal direttore, don Cesare Lodeserto, ai carabinieri che erano di guardia, agli operatori, passando per i medici che coprivano i massacri sistematici con falsi referti medici. Tutto ciò è anche venuto fuori pubblicamente, suscitando un po’ di scandalo e tanto imbarazzo nella curia leccese che gestiva il centro e nel mondo della politica che lo sorreggeva ideologicamente e lo difendeva pubblicamente. Affinché calasse il silenzio su queste nefandezze e questo imbarazzo, è stato necessario mandare don Cesare a fare il missionario per conto di Dio. Ora è in Moldavia, dove continua a fare le sue porcate e a ingrassare i suoi conti e quelli della curia.

Davanti ad uno scenario del genere, è l’esistenza stessa di questi centri a rappresentare una “istigazione a delinquere”, perché non si possono chiudere gli occhi davanti alla vita reclusa in quanto priva del giusto documento in tasca, di fronte alle torture inflitte per mano democratica e statale. Non si può tacere quando centinaia di disgraziati periscono nel deserto, in migliaia annegano nei mari o muoiono sugli scogli appena sbarcati, mentre altri ingrassano su tutto ciò in nome dell’accoglienza. Chiunque dovrebbe sentirsi istigato davanti ad una situazione del genere, per fermare questo abominio. Chi non lo fa e resta nel silenzio si rende complice, come la maggioranza silenziosa dei tedeschi era complice di Auschwitz. Noi abbiamo raccolto questa istigazione e abbiamo reagito, e la discriminante non è stata il codice penale, bensì l’etica individuale.

Essere sovversivi, di fronte a tutto ciò, è davvero solamente il minimo…

Sovversivi senza Associazione

Lo Stato ci liquida? Liquidiamo lo Stato!

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Senza frontiere

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Non serviam!

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Noi non moriremo precari!

È stato questo l’urlo di rivendicazione lanciato da un manipolo di studenti universitari contro la “Riforma Gelmini”, ovvero contro i previsti tagli a scuola e università; un urlo lanciato nel corso di una ben strana forma di “protesta”. Se una volta si occupavano scuole e università e si scendeva per strada, oggi si pratica un “flash mob” – moderna amenità di un triste presente – facendosi riprendere dalle telecamere, ligi alle direttive della società dello spettacolo.
Ma se le cose non si cambiano con uno spettacolino in piazza, è anche su un altro punto che bisogna soffermarsi a riflettere: la continua rivendicazione di lavoro.
Non passa giorno che non si venga bombardati da una informazione che propina storie lacrimevoli; storie che raccontano di onesti lavoratori che richiedono l’intervento delle forze dell’ordine pur di poter lavorare, di brave madri di famiglia licenziate e costrette a comprare meno vestitini alla moda ai loro figli. Si rivendica il diritto al lavoro non solo per poter far fronte alle primarie esigenze vitali ma, anche, per garantirsi tutto il futile di cui si è soliti circondarsi e non si è più disposti a fare a meno. Si chiede di lavorare per poter consumare, continuando così ad alimentare il perverso meccanismo capitalista che è la reale causa dell’attuale situazione di licenziamenti generalizzata. Il cane si morde la coda.
E poi, perché dovremmo interessarci alla sorte di tanti lavoratori, il cui lavoro ha effetti nocivi e negativi sulle vite di chi gli vive accanto? Il caso di coloro rimasti senza lavoro per la chiusura dell’impianto di incenerimento della Copersalento di Maglie è emblematico. Quello di gran parte dei ricercatori universitari è identico: a quali progetti e quali interessi asserviranno la loro ricerca? Troppo spesso è una ricerca mirata a nuove forme di dominio e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla natura. Un altro caso esemplare è quello dei ricercatori del laboratorio di nanotecnologie di Lecce, impegnati in progetti di controllo e di guerra; allora sarebbe auspicabile che gente simile non restasse precaria a vita ma, più semplicemente, non iniziasse mai a lavorare.
Ma una riflessione più profonda si impone. È mai possibile che l’unico orizzonte a cui si è capace di aspirare sia quello di un futuro lavorativo, fatto di tempo alienato e della solita estenuante routine fino alla morte, e non si sia invece capaci di immaginare una vita diversa, fatta di ozio, godendo del lento scorrere del tempo da impiegare per i propri bisogni e le proprie esigenze? È possibile che non si sia capaci di immaginare il proprio futuro al di fuori di una vita fatta di sfruttamento in cambio di un salario (o stipendio) e di intendere il lavoro in una forma diversa da quella oramai cristallizzata nel corso di secoli di sfruttamento e sottomissione?
Ci sono molte anime belle disposte a tutto pur di garantire il proprio o l’altrui sfruttamento: noi no.
Noi non moriremo di lavoro!

Alcuni nemici di Stachanov

Una storia già scritta?

Alcune note sul processo agli anarchici salentini.

L’idea e la legge, la passione e la quiete sociale.

Spesso in questa storia vi sono state forti contrapposizioni tra chi professava liberamente le proprie idee, e chi tentava di reprimerle; tra chi si batteva con determinazione perché degli individui stranieri non fossero reclusi, solo per non avere un documento in regola, e chi invece sbandierava quella reclusione come mezzo per ottenere più sicurezza. Da un lato gli anarchici, dall’altro la polizia, la magistratura, la Chiesa, che gestiva un Cpt, giornali e politici vari. Eppure questo, non può che essere un quadro riduttivo di ciò che vi è stato e vi è in gioco.

Nel marzo 2005 il centro di permanenza temporanea per stranieri irregolari gestito dalla curia leccese chiude definitivamente. Gli ultimi anni della sua esistenza hanno visto in continuazione scioperi, rivolte, fughe da parte degli immigrati all’interno. All’esterno l’opposizione tenace da parte di alcuni anarchici e la contestazione di altri gruppi. Nello stesso tempo diventa di pubblico dominio, la gestione violenta ad opera del direttore Don Cesare Lodeserto, di alcuni suoi collaboratori e dei carabinieri all’interno. Lodeserto viene arrestato e poi condannato, tra le altre cose, per violenza privata e sequestro di persona. Ma lo Stato non poteva permettere di processare se stesso e i suoi amici e lasciare liberi i suoi più acerrimi nemici. Così, nel maggio 2005, anche alcuni anarchici vengono arrestati con l’accusa di associazione sovversiva e molti altri inquisiti. Dopo una lunga detenzione quattro anarchici vengono condannati per associazione a delinquere, altri tre per reati minori. In otto vengono completamente assolti. Le condanne sono pesanti ma i compagni sono ormai liberi e continuano ad occuparsi dei loro interessi. Cala il silenzio su tutta la vicenda, compresi i vari processi di Lodeserto e company. Intanto i Cpt vengono trasformati in Centri di Identificazione ed Espulsione, le carrette del mare vengono subito rimandate indietro verso altri lager, la caccia allo straniero e al diverso diventa sempre più cavallo di battaglia delle politiche securitarie e xenofobe dei governi che si succedono. I Cie divengono un meccanismo fondamentale per il potere, per gestire con la reclusione e la repressione sia una manodopera ricattabile e in eccesso (gli stranieri irregolari), sia per contenere un’umanità indesiderata. A Lecce di tutto questo si rincorrono gli echi, fino a che non ricominciano gli sbarchi dei disperati stranieri che riportano in auge la questione. Ma non è certo quest’ultimo aspetto ad essere determinante per i giudici che il 9 dicembre emetteranno la sentenza d’Appello nei confronti degli anarchici sotto processo. Molto altro forse si muove sotto e al di là di questo processo, almeno tenendo conto della modalità con cui si è svolto. Il primo presidente, dopo aver rinviato per varie udienze, ha chiaramente manifestato l’intenzione di non voler andare avanti e passare ad altri la patata bollente. Il secondo ha rinviato per tre volte la sentenza, assumendo pretesti alquanto “anomali” per la procedura corrente.

Il motivo non è facile da individuare ma potrebbe essere cercato nella volontà di peggiorare la condanna di primo grado a carico dei compagni. Se i Cie sono così importanti per il dominio, e lo sono, condannare esantemente chi ad essi si è opposto duramente, può essere da monito per chi continua a portare avanti queste lotte. D’altro canto i Cie rappresentano una spina nel fianco, date le numerose proteste che si ripetono all’interno e all’esterno sia in Italia che nel resto del mondo. La storia di un ex Cpt, definitivamente chiuso, come di un Cie che brucia, non sono buona propaganda per gli Stati. E poi vi sono le questioni locali. Il potere e l’immagine della curia leccese offuscato da tutta la vicenda. L’influenza e la affiliazione dei suoi uomini con personaggi politici molto potenti a livello istituzionale (come può essere un Sottosegretario all’Interno). Una procura assetata di vendetta verso alcuni amanti della libertà. La necessità di reprimere chiunque non si adegui alle regole. La fine della storia? Si vedrà! Per il momento possiamo solo dire che circostanze e personaggi non sono puramente casuali, ma si possono trovare in qualunque storia in cui l’autorità si scontri con l’autodeterminazione di chi non chiude gli occhi di fronte all’oppressione e all’ingiustizia. In gioco non vi è solo la repressione di qualcuno, ma la maggiore libertà per
tutti.

Alcuni anarchici
peggio2008@yahoo.it
15/10/10

MALGRADO TUTTO

Ai ribelli di qui e di altrove

Difficilmente le parole riescono ad afferrare una realtà, i sentimenti e i desideri superano sempre quanto ci offre un vocabolario. Tuttavia, è di vitale interesse parlare, tentare di esprimere ciò che pensiamo e che proviamo. Ancor più in momenti in cui il terrore dello Stato e delle sue forze dell’ordine cerca di ammutolire tutti.

Da anni affermiamo che per pensare e parlare liberamente abbiamo bisogno di spazio e di tempo. Questo spazio e questo tempo non ci verranno mai dati, così non possiamo che conquistarli da soli, strappandoli con tutta la violenza alla realtà del tu non farai e del tu devi. Ecco perché abbiamo parlato e parliamo di rivolta, di atti con cui crearci lo spazio per vivere, per dare un’espressione ai nostri desideri di libertà che non tollerano minimamente la miseria nauseabonda e la turpitudine di questo mondo.

Nell’ultima settimana, lo Stato ha scelto di riempire ogni possibile spazio con uniformi, cellulari, sbirri in borghese, celle e maltrattamenti. Già lo Stato sopporta a malapena che gli anarchici incitino con parole e azioni alla rivolta, ma in questa settimana tutto è stato dispiegato per impedire ogni incontro tra le diverse ribellioni che fanno fermentare la conflittualità sociale a Bruxelles. E l’autorità ha parlato il linguaggio più semplice a sua disposizione: il terrore, ovvero una violenza sistematica e indiscriminata.

L’annunciata manifestazione dell’1 ottobre contro i centri di reclusione per immigrati, contro tutte le prigioni e le frontiere, contro lo Stato, non doveva avere luogo, ad ogni costo. Un divieto di assembramento è stato decretato in quattro comuni della città e, mentre un’imponente forza poliziesca arrestava qualsiasi persona si trovasse vicino al luogo dell’appuntamento, altri squadroni
perlustravano i quartieri e le stazioni della metro con pugno di ferro. I dintorni delle prigioni di Forest e di Saint-Gilles sono stati chiusi ermeticamente, mentre il cuore di Anderlecht veniva pattugliato da poliziotti mascherati, mitragliette alla mano.
Centinaia di persone sono state preventivamente arrestate, decine sono state umiliate, maltrattate e percosse nei commissariati.

Diciamolo chiaramente: lo Stato non ha paura di un pugno di anarchici, ma teme un possibile contagio sociale a cui i rivoluzionari si applicano giorno per giorno. Da diverso tempo Bruxelles assomiglia ad una polveriera sociale in cui cercano di domare le tensioni sociali a colpi di maggiore polizia e più feriti e morti fra coloro che, in un modo o nell’altro, affrontano lo scontro.
Nondimeno, le tensioni sociali continuano a manifestarsi in modo radicale: dalle sommosse ricorrenti nei quartieri alle rivolte nei centri di reclusione per immigrati e nelle carceri, dagli attacchi mirati contro le strutture dello Stato e del Capitale fino ad una ostilità che continua a diffondersi contro tutto ciò che indossa l’uniforme della repressione. Probabilmente, la manifestazione annunciata dell’1 ottobre era una delle possibilità di incontro fra le molteplici ribellioni e le idee antiautoritarie — e questo incontro è stato impedito con la forza.

Malgrado la pacificazione militarizzata dei giorni scorsi, noi continuiamo a indirizzare la nostra ardente attenzione verso questa polveriera sociale, sapendo che ogni occasione può essere quella buona per dare fuoco alla miccia. E laddove la proposta di una manifestazione dovesse scontrarsi con ostacoli quasi nsormontabili, altre pratiche e altre attività sapranno aprirsi una strada.

Malgrado i muri polizieschi che cercano di tenerci separati, continuiamo a pensare che l’incontro tra le differenti ribellioni resti possibile, auspicabile e necessario. Nessun racket repressivo da parte dello Stato ci farà rinnegare questo entusiasmo.

Malgrado il fatto che in questi ultimi giorni l’iniziativa ci sia stata carpita, siamo determinati, col cuore e con la mente, a riprendere l’iniziativa nelle nostre mani. Malgrado tutto, noi continuiamo. Niente è finito… le possibilità sono sempre là, pronte ad essere afferrate.

Al momento, quattro compagni sono dietro le sbarre della prigione di Forest, accusati di complicità per l’attacco di un commissariato a Bruxelles la notte dell’1 ottobre. Facciamo in modo che sentano il nostro affetto e la nostra solidarietà.

Alcuni anarchici che non mollano la presa…
Bruxelles, 5 ottobre 2010

Machete n. 6

Se pensate che sia meglio perdersi nella giungla della libertà che trovarsi nella polis del potere, afferrate... il numero 6 di MACHETE.
A questo numero hanno (più o meno volontariamente) collaborato: Adunata dei Refrattari, Brand, Georges Brassens, Nicolas Calas, Luigi Galleani, Hors Service, René Riesel & Jaime Semprun, Max Sartin, Percey Shelley... e Antiautoritari anonimi

Questi gli articoli:
- L'occasione fa...
- Trogloditi!
- L'abisso e la fantasia
- Il diritto all'ozio e la ripresa individuale
- Lavoratori!
- Le grandi questioni
- Pane e lavoro
- Pensa...
- Sogno o realtà?
- Sangue sudore lacrime
- Distorto dagli specchi
- Ai dottori della mente
- Contr'Uno
- La resistibile autorità
- Sfrontati
- Fobia del principio
- Zanadika
- Decrescita o amministrazione della catastrofe?
- La cattiva reputazione

www.macheteaa.org

Firenze - Trivio dei Tumultuosi

«Il silenzio delle cose è quello
di una polveriera che aspetta solo
di essere messa a fuoco»

Il Trivio dei Tumultuosi
non è una sede politica. Non è un centro culturale.
Tanto meno è una galleria d’arte o una bottega.

È un luogo dove possano incontrarsi individui che ardono della stessa passione e vogliono affermare una medesima esigenza. Per discutere e affinare la propria conoscenza. Per fare nuove scoperte e allargare il proprio universo mentale. E per manifestarsi, a se stessi e agli altri.
Per secoli, a posti simili è stato dato il nome di accademie. Qui a Firenze, per esempio, c’era l’Accademia degli Infocati e quella degli Alterati. Ma le Accademie erano frequentate per lo più da polverosi eruditi e nobili parrucconi. Non è il nostro caso. Dottori in niente e allievi di nessuno, lasciamo volentieri Platone alla noia del suo giardino.
Ai salotti dove i primi della classe danno lezione ai loro cortigiani, preferiamo i crocicchi dove imprecano gli ultimi ed i plebei. Ecco perché Trivio.
Quanto ai Tumultuosi, ci sembrano i soli ad essere attratti dagli incroci delle tre vie dell’ignoto, della critica sociale e della sovversione. Troppo arrabbiati per accontentarsi delle sublimazioni dell’estetica, troppo sognatori per piegarsi ai doveri della militanza, i Tumultuosi sono individui che rifiutano di avanzare sotto le forche caudine di un’affliggente realtà, come d’indietreggiare davanti all’abisso che divide l’infinito delle aspirazioni umane dalla miserabile finitudine di ciò che la vita permette di vivere in attesa di una morte certa.
Allora non rimane che procedere per scarto. Deviare, in maniera irriducibile.
Mai come oggi l’esistenza è altrove rispetto a un mondo interamente modellato dagli imperativi dell’autorità e della merce. L’essere umano non è più fatto della sostanza dei suoi sogni, ma di quella dei suoi incubi: bollette da pagare, frigoriferi da riempire, partite di calcio da guardare, stelle dello spettacolo da ammirare, politici da seguire... mentre la necessità della mera sopravvivenza sembra aver fatto dimenticare la possibilità dell’ebbrezza della vita.
Se non vogliamo continuare a respirare l’aria del tempo, ma andare alla ricerca del suo oro, diventa allora indispensabile iniziare ad abbandonare tutte le strade note e avventurarsi in territori sconosciuti. Tenersi alla larga da quanto già conosciamo e non ci piace — consapevoli che la distanza ostacola il compromesso e rende possibile lo slancio, determinando le zone di influenza, i punti magnetici di attrazione e di repulsione. È la distanza a mettere in luce il campo di forze e la loro disponibilità. E, soprattutto, a vegliare sulla unicità dell’individuo. Diserzione quanto mai salutare, che getta lontano dai sentieri
battuti in grado di assicurare il conforto di un riconoscimento sociale. Ed è risaputo che qui, oltre i confini del già dato, cominciano i dragoni. Sfidarli non può essere né un programma da offrire, né un progetto da diffondere. È un azzardo singolare da tentare. Incomprensibile, inadeguato, impresentabile. Ma per fortuna, diffidando ostinatamente del numero, non abbiamo alcuna ambizione a diventare popolari.
Ciò che faremo — si tratti di mostre o di proiezioni, di incontri o di dibattiti… — non ha perciò alcuna pretesa di persuasione, di conversione, di propaganda. Disprezziamo i politici, senza distinzione, con o senza tessera in tasca. Preferiamo mirare a toccare gli esseri umani nel solo modo che ci sembra auspicabile: coinvolgere in avvenimenti sconosciuti, fare intendere parole insospettate, precipitare verso incontri fatali, spezzare i limiti del pensiero e dell’esperienza — per essere infine capaci di concepire che tutto è sempre possibile.

Il Trivio dei Tumultuosi
si trova a Firenze
fra il sacro e il profano,
tra Santa Croce e Piazza dei Ciompi,
IN BORGO ALLEGRI 10R
triviott@yahoo.com

Lasciate ogni realismo,
o voi che entrate